Quando la porta le si chiuse alle spalle, Anna scoprì con sollievo che in casa c’era soltanto la sorellina che era impegnata con i compiti estivi. Velocemente si infilò in bagno e aprì la doccia. Lo scroscio dell’acqua si mischiava alle lacrime, mentre cercava di sciacquare via l’odore, il seme e il ricordo di quell’individuo. Più del dolore per la violenza subita però prevalevano in lei la sensazione di essere stata una stupida a fidarsi di uno sconosciuto e, soprattutto, il lancinante dubbio che avrebbe potuto impedire tutto questo se solo avesse lottato abbastanza. Per quanto strofinasse, questi pensieri la tormentavano senza lasciarsi lavare via .
Esausta si asciugò corpo e lacrime e uscì dal bagno proprio mentre la madre stava rincasando. Al suo sguardo interrogativo, quando vide il viso gonfio e gli occhi arrossati della figlia, Anna rispose scoppiando nuovamente in un pianto violento. Tra singhiozzi e muco raccontò quello che le era accaduto. Non sapeva esattamente quale reazione attendersi, ma sperava intensamente che la madre le confermasse che no, il sospetto non andava mai coltivato e che sì, aveva fatto bene a non mettere a rischio la propria vita, e che le sue parole avrebbero avuto il potere di liberarla da quel nero macigno che sentiva frantumarle il cuore. Sicuramente però non si aspettava le frasi che la colpirono come uno schiaffo in pieno viso:
– Mio dio! Devi sempre darmi dei pensieri. Basta che non lo venga a sapere tuo padre, che altrimenti mi uccide!
Con queste affermazioni la genitrice la licenziò, indossò il grembiule e scomparve in cucina per preparare la cena e stendere un velo di eterna omertà su quella storia.
Lei invece si chiuse nella propria stanza e vi trascorse parecchio tempo cullandosi in un buio integrale a cui nessuno avrebbe avuto accesso fino al giorno in cui avrebbe, ancora una volta, deciso di vincere la vita.
In quel periodo Anna comprese che se anche i folli si cullano per non sentire forte il dolore, forse non sempre i folli sono loro.