Ranuncoli gialli. La felicità non è un sentimento, bensì uno stato d’animo. I loro fiori vellutati le ricordavano la felicità e che l’aveva provata nel guardarli ogni volta che era sdraiata sui prati in un giorno di sole. Gliela ricordava anche il mughetto mentre con la sua fragilità bucava il pesante manto di neve quando l‘inverno era alla fine. E le nuvole che si lasciavano trasportare dal vento in un cielo terso per andare chissà dove, ma lontano di sicuro.
La magia è felicità, soltanto però se la si ferma il tempo necessario per prendere nota della sua presenza. Altrimenti si dimentica di essere stati felici e cosa ha determinato quell‘inebriante stato d‘animo.
C’era stato un giorno in cui aveva detto a se stessa -Oggi sono felice e non voglio dimenticarlo.
Non l‘aveva dimenticato.
Da allora la parola felicità per lei aveva l‘odore di legno, i colori delle sete indiane e il sapore di una torta alle due del mattino.
Categoria: Domande evase
La mano
Un bambino di forse tre o quattro anni sbucò improvvisamente dalla via laterale. Si arrestò sul ciglio del marciapiede, giusto una frazione di secondo prima del passaggio di una macchina che andava a tutta velocità. Novanta centimetri vestiti di jeans, sulla faccia l’espressione di terrore che hanno i bambini quando si sono perduti. Mentre lei si avvicinava a passi veloci nel timore che il piccolo scendesse in strada, sopraggiunse il padre che evidentemente si era distratto e lo prese per mano. Bastò quella presa salda perché il panico scomparisse dal piccolo volto. I tratti, che un momento prima erano scomposti dallo smarrimento, tornarono al loro naturale allineamento armonioso. Cubismo a ritroso, pensò, mentre proseguiva portandosi appresso le sensazioni che l’accaduto aveva suscitato in lei.
Conosceva bene quella forma di terrore, soprattutto nella sua versione adulta. La sensazione del pavimento che cede privando della propria solida base esistenziale chi lo vive. Il respiro che manca anche dopo aver spalancato tutte le finestre per riempire di vento i polmoni, e il dolore, un dolore che piega in due anche il corpo.
Un terrore che con le sue unghie acuminate squarcia la mente privandola della ragione. Che non si arresta con la volontà, con l’intelligenza, con il bilancio di un quotidiano perfettamente funzionante. Perché vive di vita propria la sua esistenza urlante, distruttiva. Perché la certezza del tutto irragionevole che inietta nella mente è che nessuna scialuppa di salvataggio servirà per continuare a galleggiare fino a ritrovare un centro di gravità che appare perduto inesorabilmente.
Un terrore che fa paura tanto da indurre chi lo conosce a non rischiare un’altra volta ancora. Perché sa di non potersi fidare di sé e di lui; sa che se tornerà, con lui tornerà anche la forza distruttiva.
Lei quel terrore l’aveva provato molte volte. Troppe. Anche se le gente non le credeva. Forse perché non aveva visto il treno.
Parole in volo
“L’amore è una parola strana. Vola troppo.”
Per osservare una parola in volo, bisogna conoscerne le lettere che la compongono, saperne individuare le sembianze.
Aveva sempre avuto molta confusione in merito, eppure aveva cercato l’amore con la stessa tenacia di un animale cresciuto in cattività che improvvisamente deve procacciarsi il cibo in una foresta. E come un giovane animale aveva rincorso gocce di rugiada, vento e tuoni, scambiando rami rinsecchiti, foglie e bacche velenose con cose buone da mangiare. Perché, se anche non ne era certa, supponeva che l’amore dovesse essere nutrimento.
Quando infine lo incontrò, scopri stupita che l’amore non si trova nel cibo, ma nell’intimità di una risata, e che può essere alba e tramonto al contempo.