In quel periodo, Anna dismise la sua lingua madre da un giorno all’altro così come ci si sfila una vecchia divisa che odora di cattivo. La lingua che aveva tanto amato per la sua chiarezza e nella quale aveva scritto pagine fitte fitte alla luce fioca di una torcia, mentre in casa tutti la credevano addormentata, l’idioma che era stato la prima voce delle sue emozioni, non le ricordava più le poesie di Rilke, ma le provocava soltanto disagio: se da un lato le richiamava alla mente i volti arroganti che abitavano il ghetto dorato, dall’altro faceva di lei e della sua nuova compagna di viaggio due forestiere su quel tram che, al suono del dialetto romanesco, le trasportava in periferia, stipate tra corpi sudati, verdure, pesce e il carbone che si trovava sotto al primo sedile. Sarebbero serviti oltre trent’anni per farla tornare alla lingua da cui tutto aveva avuto inizio.
Fece però ancora un ultimo tentativo di trovare l’inclusione e anche l’amore tra chi condivideva con lei i banchi di scuola, perché la speranza è sempre l’ultimissima a morire e perché i ripensamenti sono tipici di ogni adolescente che si rispetti. Visto mai, magari aveva sbagliato, magari la convinzione di non essere accettata era soltanto figlia dei fantasmi che svolazzavano nella sua testa.
Così, nel campo estivo, tra le acque trasparenti della Sardegna, le prime ubriacature, la luce dei falò e il ronzio delle zanzare, le capitò di infatuarsi ancora. Si trattava di due fratelli appartenenti a una delle famiglie più ricche ed elitarie dell’istituto, con i quali condivideva i natali, le sigarette fumate di nascosto e null’altro ancora. Non si invaghì di entrambi contemporaneamente; ci fu una sorta di passaggio bilaterale delle consegne quando il maggiore dei due dovette ripartire anzitempo, passaggio al quale lei si adattò senza tante storie, perché la bellezza in quella famiglia era di casa e lei aveva un’intelligenza estetica piuttosto sviluppata. Terminata l’estate però, dovette constatare che una nazionalità condivisa e qualche sigaretta non sono sufficienti per abbattere le divergenze sociali e che dei dolci baci all’ombra di un pino non costituivano curriculum valido per essere promossa da flirt estivo a frequentazione invernale. Di ritorno a scuola, i suoi amori estivi – entrambi – finsero di non conoscerla e se qualcuno degli altri compagni alludeva a quanto era accaduto, si nascondevano dietro a una risata.
Inutile insistere, decise Anna. Avrebbe dovuto cercare la sua prima volta fuori da un mondo dove evidentemente non possedeva i requisiti perché le venisse riconosciuta la cittadinanza d’onore. Il tempo stringeva. Mancavano solo pochi mesi al suo quindicesimo compleanno, ormai.
Si leccò velocemente le ferite e diresse la sua attenzione verso il mondo numero due (o forse era il tre; con i numeri faceva sempre gran confusione) che abitava.
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