Pizzo San Gallo e un cono

Già pochi mesi dopo il suo ritorno dal campo scuola, Anna dovette constatare che quel fenomeno che oggi si chiama catcalling e che allora non aveva un nome solo, ma mille facce quelle sì, e si sarebbe potuto chiamare più semplicemente ‘n do’ cojo cojo, non riguardava solo le belle signore bionde, ma anche le ragazzine dai capelli scuri. Perché, mentre lei era impegnata a piegare stupidi cigni e rane di carta, il suo seno aveva approfittato della sua distrazione per crescere e di molto. Se non fosse stato per gli sguardi collosi che le si spalmavano addosso mentre si muoveva per le strade, non se ne sarebbe probabilmente nemmeno accorta, ma così venne indotta da uno sviluppato istinto di sopravvivenza a rivedere alcune delle abitudini che si era portata dal nord – anche se, in verità, non le sembravano affatto degne di attenzione – come mangiare un cono gelato per strada o indossare dei pantaloncini quando faceva troppo caldo o ricambiare educatamente un sorriso. Per molti indigeni di genere maschile però- così le sembrò di capire – queste erano invece di interesse estremo e venivano accolte con entusiasmo, battute e fischi da stadio.
Infine Anna si rassegnò anche a indossare un reggiseno. Non uno di quelli romantici che catturavano il suo sguardo nelle vetrine, di pizzo San Gallo e con la rosellina di tessuto a dividere le coppe, no, non andava bene per chi porta la terza, le spiegarono le merciaia e sua madre in un coro sincrono nemmeno avessero provato per mesi: ci voleva un modello con le fasce larghe ai lati, uno di quelli incrociati sul davanti, che “tengono” meglio. A lei quei capi intimi enormi dall’improponibile color carne, che le due le porgevano con entusiasmo, sembravano l’emblema della mortificazione femminile e l’indumento più orribile che mente umana potesse immaginare.
Il concetto di erotismo sarebbe entrato a far parte dei suoi ragionamenti solo più avanti; in quegli anni, l’unica associazione con la parola sexy (si prediligevano i termini inglesi, allora) di cui disponeva, era rappresentata dal manifesto pubblicitario di un fondo schiena in jeans che, come si evinceva dal testo sottostante, dava per scontato che per amore lo si seguisse anche in capo al mondo. Anna sconsolata pensò che, se davvero aveva ragione la merciaia, a lei nessun ragazzo l’avrebbe seguita nemmeno fino alla fermata del bus.

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