Prospettive con la cappa

Succedeva così che in uno stesso giorno Anna dismettesse le vesti della piccola fiammiferaia per indossare quelle della principessa de’ noantri. Perché l’appartamento che i suoi avevano acquistato faceva parte di un esiguo numero di palazzine moderne e costose che si trovavano in una piccola via di confine tra due delle più popolari borgate della città.
L’affaccio su una fila di alberi sempreverdi, il doppio cancello d’ingresso, l’androne con i pavimenti in marmo e le immagini di Roma Antica che ne ornavano le pareti creavano uno stridente contrasto con le case popolari circostanti, dove le scale odoravano di candeggina e di fettine alla pizzaiola. Il giorno del suo arrivo a Roma, quell’androne le era sembrato un salone reale, a lei che di androni così non ne aveva mai veduti, perché nel paesino da cui proveniva le case erano di uno o due piani e i lignei portoni d’ingresso avevano una finestrella di vetro smerigliato, dietro alla quale chi aspettava sembrava una di quelle immagini che si vedono guardando attraverso un prisma a specchio.
Nelle case popolari le sue coetanee giocavano a palla prigioniera contro il muro o con le Barbie, e lei si chiedeva come, all’età di dodici anni, potessero ancora giocare con le bambole. In TV seguivano con entusiasmo la storia di uno strano pulcino che si lamentava del colore delle sue piume, ma a lei, che non comprendeva bene la lingua, quel piumato sembrava soltanto uno che faceva un sacco di baccano e non capiva cosa ci fosse da ridere. Le ragazzine di quelle case avevano quasi tutte capelli lunghi e scuri di cui andavano fiere e spesso giocavano per ore alle parrucchiere. Anche a lei piacevano molto le loro chiome folte, ma non comprendeva quel desiderio di lavorare, un domani, come parrucchiera. Forse perché suo padre le ripeteva che, se avesse continuato a prendere bei voti, le avrebbe comprato una farmacia, anche se lei voleva diventare una scrittrice.
Grazie alle ragazzine di quella borgata tanto distante dalle partite di cricket e dai dolci di carote, scoprì anche una letteratura che fino a quel giorno le era del tutto sconosciuta. Le letture che andavano per la maggiore tra le giovanissime e le loro madri erano racchiuse nelle alte pile di fotoromanzi che poteva ammirare nelle loro camerette; sua madre invece leggeva soltanto libri dalla copertina rigida che parlavano della vita di Napoleone o di viaggi in Africa e che riponeva ordinatamente nella libreria del salone.
Anna sfogliava dunque le riviste patinate con il dovuto snobismo, seppur con grande curiosità per le vicissitudini di quei personaggi dall’aspetto affascinante e dai nomi con le cappa e le acca. Quando scoprì che la casa editrice che li pubblicava si trovava poco distante dalla sua abitazione, se anche non lo avrebbe confessato nemmeno sotto tortura, per un certo periodo sognò segretamente di essere scoperta, mentre camminava per le vie di quella borgata, come possibile interprete dei romanzi futuri; esattamente come facevano le ragazzine delle case gialle e rosse sbiadite dal sole. Senza ovviamente raccontarlo a casa.


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