Sedili in legno, completi di tweed e pinze

Pochi giorni dopo il suo arrivo in quella città che ospitava più case e vie di quante lei ne avesse vedute durante i suoi dodici anni di vita, si ritrovò in mano un abbonamento dei mezzi pubblici e i suoi le annunciarono che era pronta per andare da sola. Con indosso un pantalone sintetico lilla e un maglione di ciniglia a righe verdi, gialle e blu, che inesorabilmente fece di lei una straniera da individuare al primo sguardo, iniziò il suo viaggio quotidiano attraverso la giungla di asfalto e di suoni sconosciuti. Stipata sul vecchio tram dai sedili in legno, tra grasse signore con il carrello della spesa, geometri con il maglione a dolcevita, studenti rumorosi e maniaci silenti, tutte le mattine si lasciava alle spalle la periferia romana con i casermoni e i giardinetti dall’erba bruciata per raggiungere la scuola che si trovava nei quartieri alti della città, tra palazzi signorili e belle fontane. Si trattava di una scuola d’élite – perlomeno così era scritto nella presentazione che veniva consegnata al momento dell’iscrizione – dove insegnanti e alunni parlavano la lingua del suo paese di origine e l’italiano lo si studiava come seconda lingua straniera.

Ignorava cosa significasse esattamente la parola “élite” ma, dopo alcune settimane di frequentazione, giunse alla conclusione che doveva trattarsi di una definizione che raccoglieva in una sola parola capelli biondi e fluenti, completi di tweed e maglioni norvegesi, campi-scuola sulla neve, lezioni di tennis e di pianoforte, padri ambasciatori, consoli o dirigenti, pagelle scritte su misura per chi possedeva un cognome di rilievo e persino la domanda che si sentiva rivolgere a ogni festa di compleanno, quando i grandi le chiedevano con lo stesso sorriso bonario del terriero bianco che si rivolge al piccolo inserviente di colore, lei di chi fosse figlia. E così, poco dopo il suo ingresso nell’istituto elitario, la primogenita di un cameriere emigrato in gioventù e tornato in una patria che non gli apparteneva più, seppur ancora dubbiosa sul senso di quell’aggettivo, poté affermare con certezza matematica che per sopravvivere davvero ai calci nello stomaco che assesta il pregiudizio sociale, la passione per il latino o per l’etimologia delle parole, la fantasia, ma anche un quoziente intellettivo superiore alla media, sono armi tanto efficaci quanto un set di coltelli poco affilati

Nella sua nuova stanza la radio di notte suonava piano , mentre con la luce di un abat-jour e i libri tentava di illuminare la propria mente. Fino a consumarne la copertina, leggeva e rileggeva la storia di una donna che si chiamava Von Salomé cercando nell’intelligenza e nel coraggio femminile la ragione di un’inspiegabile ferocia umana.

Durante l’inverno, nella scuola d’elité sparirono dalla cassa dell’aula di disegno i soldi che dovevano servire all’acquisto di materiale didattico. L’insegnante dai capelli rosso sangue che indossava Rey-Ban scuri anche quando fuori era già scesa la sera, non nutriva incertezze sull’identità del malfattore. Der Mörder ist immer der Gärtner recita una vecchia canzone tedesca, però in assenza di un giardiniere omicida il misfatto era, senza ombra di dubbio, da attribuire alla figlia di un cameriere. Dopo che il preside della scuola convocò i suoi genitori per metterli al corrente dei sospetti – Fondati, Signori miei, credetemi, anche se non abbiamo le prove! – questi la sottoposero a un interrogatorio pressante che non servì a fugare il loro timore di aver partorito una figlia ladra: in famiglia la presunzione di innocenza era considerata un’astrazione intellettuale .

Non avrebbe voluto frequentarla quella scuola, dove gli insegnamenti spartani di un’infanzia trascorsa tra i campi e una chiesa dal campanile storto venivano devastati dalle false certezze di un mondo di vetture di lusso, partite a tennis e mercatini di beneficenza, ma tredici anni sono pochi per scegliere la propria strada. Sono però sufficienti perché l’istinto di sopravvivenza vinca sulla rassegnazione. Così barattò i suoi maglioni a righe e la sua voglia di studiare contro un chilo di accettazione: chiuse i libri, si lasciò crescere la frangetta evacquistò un jeans da chiudere stesa sul letto con l’ausilio di un paio di pinze.

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3 risposte a “Sedili in legno, completi di tweed e pinze”

  1. un bel racconto di emarginazione.

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