Sofia stava camminando da poco più di mezz‘ora quando giunse a una radura dove alcune panchine di legno erano disposte in perfetto ordine geometrico. Su una di queste era sdraiata una bambina dai boccoli neri che sembrava dormire profondamente, un libro di fiabe poggiato sulle gambe.
Sofia si avvicinò cercando di non far rumore, ma improvvisamente una folata di vento oscurò il cielo con insolita violenza e lei si ritrovò scaraventata nella semioscurità, tra rami, radici e ciclamini. Combattendo l’aria che le si avventava contro come un pugile arrabbiato, lentamente le riuscì di rialzarsi e di ripulire i suoi vestiti dalle foglie che si erano attaccate alle maglie di lana e che, come tanti folletti verdi, saltavano al ritmo di quel’alito gelido e inquietante in un gioco irriverente.
Quando faticosamente ebbe riconquistato la posizione eretta, Sofia si riparò dietro a una vecchia quercia: vide le pagine del libro di fiabe scompigliarsi come se il vento le stesse sfogliando alla velocità di un lettore impaziente o impazzito che scorre tutti i capitoli di un romanzo per conoscerne subito il finale.
Sofia si stava domandando se non sarebbe stato più saggio svegliare la bimba addormentata e chiudere il libro prima che il vento lo distruggesse insieme alle fiabe, quando da una delle pagine comparve, librandosi in quello che più che un volo sembrava una fuga, una figura femminile a cavallo di una scopa.
Volteggiò in cerchi irregolari sopra la panchina, palesemente in difficoltà, come è ovvio che si sia in difficoltà alla guida di una scopa, e infine atterrò maldestramente sul prato. Senza abbandonare il suo cavallo di saggina, la figura estrasse un calendario dall’ampia gonna e lo sfogliò nervosamente: era il 7 gennaio. Sospirò. Come al solito aveva fatto tardi.
Alla giovane Befana parve di sentire la voce di sua madre che la rimproverava, mentre lei “perdeva tempo“ a passarsi il rossetto. Ci pensò su un attimo, poi, determinata, scacciò con un gesto della mano la voce insieme a una ciocca di capelli ribelli, fece spallucce, si sfilò la gonna e il fazzoletto scuro che aveva in testa e li affidò al vento. Questo prontamente li accolse e li trascinò con sé.
Con indosso solo un paio di jeans e un maglioncino leggero, la giovane inforcò nuovamente la sua scopa e si sollevò in aria, ma non senza aver prima poggiato in terra il pesante borsone che le avevano affidato e che si era portata appresso in quel suo viaggio verso un appuntamento mancato.
Aveva quasi raggiunto la più alta delle cime di quel bosco quando, con una brusca inversione di marcia, tornò alla radura. Sopra il borsone sparpagliò alla rinfusa tutte le feste: ci avrebbe pensato qualcun altro a portarle via. Lei aveva altro da fare.

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